Varcare qualunque confine con la moda è possibile. Nel castello di Santa Severe, a pochi passi da Roma, le culture si fondono grazie all’esposizione Giapponizzati. Racconti di un viaggio di moda. Una mostra-evento, curata da Stefano Dominella, dove tramite il fashion si racconta l’influenza giapponese in Italia e non solo. Fino al 15 gennaio all’interno delle maestose sale del complesso fortificato, tra obi e antichi kimono, spiccano oltre 40 creazioni di noti stilisti e giovani emergenti come Antonio Marras, Gattinoni, Comme des Garçons, Issey Miyake, Yohji Yamamoto, Alessandra Giannetti, Giovanni Cavagna, Tiziano Guardini e molti altri.
Punto di partenza della rassegna, il viaggio di Hasekura Tsunenaga, primo samurai-ambasciatore giapponese, figura emblematica e vassallo convertito al cristianesimo che, nel 1615, arrivò in Italia indossando sontuosi drappi indiani e cappelli alla romana per simboleggiare la fusione delle culture. L’ambasciatore fu mandato in spedizione alla volta di Roma per incontrare Papa Paolo V. Questo viaggio rappresentò l’unica risposta diplomatica e politica, durante gli anni delle grandi navigazioni, dell’Asia Orientale all’Occidente. I rapporti diplomatici tra Italia e Giappone, sorti per necessità di carattere commerciale, continuarono poi positivamente nei decenni successivi ed ebbero delle invidiabili conseguenze di carattere culturale. L’esotismo giapponese divenne un tema di grande ispirazione nella letteratura, nella musica, nel teatro, nell’arte e nella moda. Nei primi del ‘900 scoppia in Europa la passione per il Giappone, soprannominata, appunto, giapponismo. L’abbigliamento femminile cambia drasticamente preferendo capi più ampi e disegnati con una forte impronta orientale: volumi, tessuti rigidi, sovrapposizioni, realizzati in tessuti e colori diversi, ma armoniosi, che rispecchiano le stagioni e gli stati d’animo. Le creazioni ispirate ai kimono dilagano tra i salotti dell’alta società.
Contemporaneamente, dopo un periodo di grande chiusura, il Giappone si ispira all’occidente, a tal punto che anche le donne cominciarono ad indossare, in alternativa agli abiti tradizionali, vestiti europei ed essere chiamate moga, modern girl. Una contaminazione bilaterale dove la tradizione d’una cultura diventa la trasgressione dell’altra senza compromettere mai l’eleganza.