Mauro Sironi signs & colors è questo il titolo della mostra in programma dedicata ad uno dei protagonisti italiani più moderni del Novecento, alla Brune Fine Arts di Londra dall’8 marzo al 24 maggio prossimo. Inizialmente si era delineato il progetto di proporre al pubblico londinese la sola produzione di Sironi degli anni della solitudine (1940-1960). L’inevitabile tragico fallimento di un’epoca, la drammatica consapevolezza degli errori, l’emersione storica della trappola delle illusioni spingono, infatti, Sironi ad una obbligata, inevitabile, macerante solitudine. Nel tempo, che si impone con la fine della seconda guerra mondiale, egli scava ossessivamente nelle ragioni di una vita. Così le sue opere appaiono con toni ulteriormente induriti. Quella cupezza, che è quasi un rumore di fondo della sua pittura, si trasforma fino a sfiorare il dramma. Affiora un’apocalisse personale che non rigenera ma consuma, lacera dall’interno. La fatica di vivere, che emerge già nei suoi paesaggi urbani, diviene sofferenza amplificata dalla feroce depressione che lo dilania e che si esprime in immagini graffiate sulla tela. I rilievi di un tempo che rimandano alla classicità si sono trasformati sulle tele in vetro grezzo. Non ha dubbi Vittorio Sgarbi che la ritiene, questa degli anni della solitudine, una “pittura bellissima, commovente […] forse fra le più alte che in Europa vengano mai prodotte nel corso degli anni Quaranta e Cinquanta.”Non va dimenticato come egli, a seguito dell’accelerazione imposta dal passaggio al Futurismo, precorre i tempi sulla modernità funzionale, quasi in parallelo con i Costruttivisti russi. In Sironi è profondamente radicata la convinzione delle grandi pitture murali lontane dai piccoli formati da cavalletto, dalla pittura da salotto per pochi eletti. Autentico artista epico moderno mantiene inalterato il suo ideale traguardo nell’autentica arte intrisa di vibranti messaggi morali, volta non a soddisfare gusti populistici ma a formarli. Tale aspirazione, mescolata ad un viscerale interesse per l’architettura e la scultura, trova infine, negli anni Quaranta, uno sbocco nel rinnovato impegno per l’attività teatrale, con l’esecuzione di scenografie e costumi che raggiunge il suo apice con le scene per il Don Carlos di Giuseppe Verdi commissionate nel 1950 dal Maggio Musicale Fiorentino. Ma si tratta di una fragile illusione legata al carattere effimero delle scene teatrali. Dotato di mezzi tecnici notevoli, primeggiando nel disegno, è fecondo creatore di iconografie capace di farsi interprete grandioso del suo tempo. Sempre fedele a se stesso, forgia uno suo stile inequivocabile e già con l’esposizione del 1943 traccia nel suo itinerario d’artista una linea di evidente demarcazione. La tempera, che egli tanto ampiamente utilizza, diviene ora ricordo ed elemento di continuità con le opere monumentali, con l’affresco. Corroso dall’inquietudine del mistero della vita, si muove affannosamente nella vana ricerca di qualcosa in cui credere. L’esistenzialismo solitario e personale di Sironi trova, dunque, comuni punti di contatto con la crisi collettiva dei valori e la critica straniera, senza pregiudizi, lo percepisce come un artista del tutto attuale. E infatti la corposa mostra itinerante di Sironi e Marino Marini, che nel 1953 passa attraverso le maggiori città degli Stati Uniti d’America, riscuote ampio consenso. Quando si fa più fitto il dialogo con la morte le sue composizioni multiple si addensano di rovine di idoli, di allusioni a ideali di gloria che si disgregano, e Sironi prende a dipingere la visionaria serie allucinata dedicata al tema dell’Apocalisse che conclude in un’atmosfera mitica primordiale ed eterna nel maggio del 1961: tre mesi prima del suo epilogo. Nel 1962 la Biennale di Venezia dedica a Sironi un’ampia retrospettiva che avvia anche in Italia il tempo di un approccio scevro da preconcetti all’opera di uno dei grandi protagonisti del Novecento.