Prendere la felicità di un ricordo, scongelarla con la scrittura e custodirla in un cubetto: nuoce gravemente alla noia e fa tanto bene al cuore e alle mani di chi scrive. Emiliano Angelelli e Filippo Balestra, in occasione di Mal di Libri, la prima festa dedicata alla lucida follia di inventare, ascoltare, raccontare, collezionare storie e libri, il 20 e 21 ottobre scorsi hanno scelto il Pigneto Caffè “Da Eraldo” e Cargo come luoghi della loro performance della felicità che prende spunto da ‘Cubetti’, un racconto scritto da Filippo per la rivista ‘Costola’. Nella serata di sabato, 50 fortunati (ma felici?) passanti di quel pezzo di isola pedonale sono stati invitati a scrivere un loro ricordo felice su un pezzetto di carta da inserire in un cubetto che sarebbe stato inserito a sua volta in un cubo contenitore più grande. Ammettere la propria felicità e, dall’altra parte, sperimentare la lucida follia dell’inventare è stata tuttavia impresa ardua: “C’è quello che è contento dell’iniziativa e ti fa i complimenti ma ha paura che poi alla fine ci sia da firmare, quell’altro che proprio ti dice che non ha spiccioli, quell’altro che ti racconta in un paio di giri di vita i suoi ultimi trent’anni compreso un cartoncino di Tavernello che ha lì nel sacchetto”. Eppure, alla fine, quel cubo ha raccolto ritagli di felicità confessate o resuscitate chissà con quanta fatica, in una giornata-tipo concitata ed epidermica. E dal ‘cubo di Pandora’ si è sprigionata la poesia del coraggio di dirsi felici, almeno in un’altra dimensione temporale. Poi queste felicità altrui, custodite in spigolose geometrie, il giorno successivo sono state pescate a caso e regalate ad altri avventori del bar affinché questa lucida, amabile e folle performance metaletteraria potesse provocare le sue lucide, amabili e folli conseguenze. Ne son nati aforismi essenziali, ingenui e disarmanti da salvare in una sorta di promemoria virtuale, necessario in momenti in cui ognuno di noi può sentirsi insufficientemente felice e grato ad un’esistenza impreziosita dai gesti, dagli oggetti e dalle atmosfere più semplici. E così “l’astronave dei lego”, “la prima bicicletta”, “la mamma”, “arrampicarsi sull’ulivo del proprio nonno durante la raccolta delle olive” e “la gioia di una causa vinta contro un licenziamento illegittimo” sembrano assumere tutti lo stesso eterno e rigenerante valore. Per essere se stessi. Per amare se stessi. Per ritornare ad essere ed amare se stessi. Senza una firma o uno spicciolo. Solo attraverso la grafia gratuita e faticosa di un ricordo.