Canali, specialista in capi sartoriali di lusso e testimone di un’eleganza maschile tipicamente italiana, lancia il progetto “200 Steps”. Una sezione in cui ogni mese un uomo raffinato, in linea con lo stile Canali, rivela i segreti della sua creatività, gli “step” del suo processo creativo. Nella creazione di ogni capolavoro ciò che conta sono i piccoli gesti, i dettagli, dalla singola nota sullo spartito agli infiniti punti e passaggi per realizzare un abito Canali. Un’intervista, scritta da un giornalista affermato, svela tutti i segreti più nascosti e la personalità del personaggio del mese che, in un altro video, dovrà rispondere d’istinto a 10 parole. Protagonista del “200 Steps” di maggio è il compositore e pianista italiano Ludovico Einaudi. Nominato “Chevalier des Arts et des Lettres” dal Ministro della Cultura e della Comunicazione della Repubblica Francese, è un autorevole esploratore di sonorità capace di assecondare i gusti sia dei conoscitori della musica d’autore, sia dal grande pubblico.
Tramite le melodie Ludovico Einaudi invita gli ascoltatori a viaggiare in armonie che dischiudono nuovi mondi cercando di trasmettere quel quid in grado di far scaturire nuove idee. “Il più grande complimento è sapere che alcuni, ascoltando i miei brani, hanno scritto una poesia, dipinto un quadro, o semplicemente, hanno sorriso a un altro giorno”.
Antonio Mancinelli, caporedattore di Marie Claire Italia, lo ha intervistato. Qui di seguito la sua intervista: L’ispirazione: cos’è? Da dove e come arriva? È quel momento che “ferma” la riflessione tra un elemento esterno e le sue ripercussioni sulla nostra interiorità. Per esempio, alcuni anni fa vidi Il trittico della natura di Giovanni Segantini: per me quelle immagini erano come fotogrammi che alludevano al movimento. Mi è sembrato naturale svolgerle in un discorso musicale più esteso. Ed è nato Divenire. Quali e quanti sono i passaggi tra pensare un motivo e realizzarlo? Può succedere che un brano nasca quasi compiuto in una giornata, anche se ciò non significa che io non ci abbia pensato per giorni prima. Altre volte succede che a una musica, pur affascinante, non si riesca a offrire la prospettiva ideale, quella che vorresti. E allora si può passare a una prima, una seconda riscrittura. E poi ci sono idee così potenti da poter sempre comunicare sensazioni, anche se suonate in maniere e con orchestrazioni differenti. Quanto conta pensare a chi la ascolterà? Molto. Ma non per assecondarne i desideri di chi ama le mie composizioni. Quello che mi preoccupa è offrire chiarezza. Arrivare all’essenza di ciò che voglio esprimere. Comporre musica: un dono o si può imparare? Per chi possiede “l’orecchio assoluto” è una predisposizione. Ma si può coltivare seguendo altri interessi: la scienza, le arti, la letteratura, i viaggi… Che tipo di ascoltatore è? Onnivoro. Fin da piccolo ho sentito musica a 360 gradi, dai Beatles a Bach. Mia madre suonava il pianoforte, le mie sorelle mettevano sul giradischi Bob Dylan e Jimi Hendrix. Se il mio iter professionale è stato classico, non ho mai smesso di essere curioso. Essere andato in Mali o analizzare i Radiohead fanno parte di un’attitudine culturale che non conosce preconcetti. Nel suo processo creativo, esiste un luogo dove preferisce comporre? Non c’è una relazione diretta tra l’estremamente bello che mi può circondare e l’estremamente bello nel mio lavoro. Anzi. Le composizioni migliori le ho scritte in città, a Milano. Pensi che una volta mi ero portato i miei strumenti al mare, in un posto meraviglioso. Ma ero distratto dalla bellezza intorno, e non trovavo ispirazione per lavorare. Per concentrarsi davvero, non c’è bisogno di guardare fuori. Ma di guardarsi dentro. Se dovesse presentarsi a qualcuno che non la conosce, quale brano sceglierebbe? Experience, che fa parte del mio ultimo album In a Time Lapse. Poi avrei dei dubbi, magari. Viviamo in tempi di iperascolto. I ragazzi sigillati nelle cuffie, canzoni negli ascensori, nei ristoranti… Sono infastidito da questo eccesso. Ci sono momenti e posti dove è bellissimo udire il silenzio. Ci sono anche film con troppa musica. E se la musica è troppa, non produce risultati, perde magia. Cosa significa avere stile? Riconoscersi, ritrovarsi in ciò che si fa. Esiste una buona e una cattiva musica? Esiste una cattiva musica sia a livello tecnico, sia a quello espressivo. Come quando è eseguita bene, ma non produce emozioni. Quella buona, deve condensare innovazione e mistero. A cosa vorrebbe servisse la sua musica? A lasciare dentro qualcosa che metta in moto le idee. Il più grande complimento è sapere che alcuni, ascoltando i miei brani, hanno scritto una poesia, dipinto un quadro. O semplicemente, hanno sorriso a un altro giorno. Penso che la musica possa penetrare profondamente e in maniera diretta nell’animo. Si è più indifesi, di fronte alle note. Ed è fantastico.