La mostra “Ginevra Odescalchi – Hendrik Christian Andersen”, promossa dal Polo Museale del Lazio e da Altaroma, è stato un incontro tra cultura e moda.
Entrare nella mente di un’artista è entrare in un mondo proprio, con i propri movimenti, fessure, sfumature.
Linee che sono solo in apparenza esterna e che solo se seguite attraverso i piccoli indizi di simboli lasciati nella materia, rilevano il disegno dei percorsi della creazione.
Il Museo Andersen è la mente di Hendrik Christian, ma se ci fermassimo solo alla monumentalità delle sue opere, non ne coglieremmo la visione e
l’ossessione.
Ginevra Odescalchi mette se stessa al centro della sua ricerca, iniziando a creare abiti e cercando la perfezione che non trovava altrove. Di qui la capacità di concentrarsi sul pezzo unico, sulla pelle altra da appoggiare sulla pelle reale per ogni persona.
L’origine di una collezione questa che dialoga in sei abiti, è quasi l’espansione del corpo della designer, che proietta se in un percorso più complesso.
Partendo dalle icone bianche e nere del fratello pittore Cristallo Odescalchi, il simbolo diventa traccia, stampa, incisione. Il punto e lo spazio dell’abito.
I materiali diversi, che rincorrono i colori del bianco e del nero rimarcano il dialogo delle sfumature della luce, in tutti i suoi passaggi bicromici di colore durante la vita e la morte del giorno.
Disposti in una danza, gli abiti sono stati scoperti non fra le statue della Città di Andersen, ma nell’intimità di quella che era la sua casa, al primo piano.
Modelli nuovi di una città non più di statue ma viventi, la medesima idea di libertà e di capacità di mostrare un percorso, intuibile ma da scoprire seguendo i punti.
Ogni abito con un quadro di Cristallo, posto a indicare l’inizio. La relazione amorosa con Andersen viene resa palese dalle opere fotografiche di Fabio Lovino, dove Ginevra Odescalchi, i suoi abiti e le sculture di Hendrick Christian diventano un mondo senza tempo e quindi eterno.