Tra me e la mia coscienza c’è un abisso nel cui fondo invisibile scorre il rumore di un fiume lontano dai soli, il cui suono reale è cupo e freddo… Fernando Pessoa – L’abisso.
Quanta forza, durezza possiede in sé la parola “abisso”. Pensateci. A seconda delle situazioni in cui vi troverete ad usarla, una sensazione poco positiva vi accompagnerà. Non esagero, no no. Aprendo il vocabolario della lingua italiana si legge:
- Luogo cui l’eccezionale profondità conferisce un aspetto misterioso o pauroso; burrone, precipizio (anche fig: gli abissi insondabili dell’animo umano);
- Inferno: lo spirito dell’abisso, il demonio. Perdizione morale: “essere sull’orlo dell’abisso”;
- Distanza enorme, inconciliabilità assoluta.
Visto? Di positivo in questa parola non c’è proprio nulla. Apparentemente. La verità amici miei è che dal guardarsi dentro, più in profondità, si impara a conoscere se stessi e gli altri. Prendete me. Non c’è un solo giorno in cui non faccio i conti con me stessa. Quando di tanto in tanto, per farmi male, scendo negli abissi della mia coscienza, vi ritrovo tutte le mie paure, le mie incertezze e contraddizioni:
“Cado e ricado, inciampo e cado, mi alzo / e poi ricado, le ricadute sono / la mia specialità. Cos’altro ho fatto / che fingere di uscire e ricadere dentro? Nessuno mai che io trascini insieme a me / cadendo. Grandi equilibri mi circondano / ma non mi reggono, anzi proprio perché io cado / si sorreggono”.
| Patrizia Cavalli |
Ecco. Nei miei abissi cado perennemente. A spaventarmi sono i miei limiti, la paura di non essere sempre all’altezza o di non avere sufficiente coraggio nel dire a qualcuno che “la verità è che mi piaci abbastanza”. Ma, credetemi, non c’è stata una sola volta in cui mi sono tirata indietro e non ho affrontato la situazione. A me cadere, in fin dei conti, fa bene.