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Fashion in Town | 2023©

Il destino di un vestito

Quando uno stilista disegna un vestito non sa mai su quale corpo finirà. A meno della modella che lo indosserà in passerella, della diva a cui lo presterà (o regalerà) per pubblicizzarlo sui red carpet più prestigiosi del mondo o della testimonial che lui stesso sceglierà per rappresentarne al meglio mood e allure nelle campagne stampa e spot tv, una volta finito negli store della sua creatura un designer non sa più nulla.

E’ un pò un destino strano quello dei vestiti. Quasi fossero dei cuccioli che non possono decidere chi li adotterà, finiscono nelle case (e nei guardaroba) più impensabili.

 

A volte sono fortunati. Ripiegati con cura, profumati, ammirati e sfoggiati nelle occasioni più importanti da chi la moda la ama e la capisce. Conservati nel tempo, come inseparabili compagni di momenti indimenticabili o, addirittura di una vita intera, se pensiamo ad importanti abiti da sera o al più prezioso di tutti, l’abito da sposa.

Altre volte, sono preda di sciacalli di griffe che dell’abito in questione non hanno alcun rispetto. Potessero sfoggiare da fuori l’etichetta posta all’interno sarebbero ancora più soddisfatti, ma ahimè, è cucita dentro, così sono costretti a ripetere, a chiunque faccia loro un complimento, che l’abito è di “X”. Una dichiarazione di potere d’acquisto che li rassicura del loro posto nel mondo. È l’abito-prostituta d’alto bordo: pagato, indossato e poi gettato via in attesa del prossimo, ancora più sfarzoso. E scelto solo in base al listino delle griffe più quotate del momento.

 

Beato il designer che non sa quale fine faranno i suoi abiti. Perché esiste una sorte ancora più infausta del non sapere: il saperlo. Aprire un magazine e scoprire una come Karima El Marough, in arte Ruby Rubacuori, indossare in una discoteca un abito turchese di Yves Saint Laurent. Se solo sapesse, lo stilista parigino si rivolterebbe nella tomba, ma anche in vita chissà quante volte, come tanti suoi colleghi, avrà chiuso gli occhi di fronte allo scempio fatto a qualche sua creatura. Di fronte a donne indegne di indossare i suoi capolavori, ognuno frutto di un’idea leggera come una brezza, ma robusto nel tempo come una tempesta. Starlette senza arte né parte, squallidi personaggi televisivi, politici indecorosi… la lista sarebbe lunga.

 

Perché come tutte le opere d’arte, e la moda, seppur un’arte minore, lo è, una volta che hai firmato la tua opera (nel caso di uno stilista si tratta dell’etichetta), quell’opera non ti appartiene più. Paradossalmente la firma è come il “The End” di un film. Non lo puoi più difendere. Ora appartiene al pubblico. Puoi solo sperare che qualche persona perbene lo scelga tra gli altri e lo indossi, regalandogli nuova luce. Perché per quanto bello, speciale e tempestato di ricami e brillanti sia, ogni abito ha come un interruttore nascosto: solo la personalità di una vera donna può accenderlo di luce.

O spegnerlo per sempre.

 

Credit image: Raluca Mocrei

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