Quando ti ritrovi davanti ad una fotografia di Jan Saudèk, senti il sangue nelle vene pulsare forte. E’ la vita vera che, l’eclettico autore ceco, ci mostra. Non ci sono filtri, nè finzioni, nè ritocchi digitali, le sue opere sono autentici capolavori.
Figlio di un direttore di banca, di origine ebraica, Jan Saudèk nasce a Praga. Durante la II guerra mondiale, la sua famiglia viene deportata nel campo di concentramento di Theresienstadt. Dopo la guerra, comincia a dipingere e disegnare. Nel 1958 sposa Marie che, l’anno seguente, gli regala la prima vera macchina fotografica: una Flexaret 6×6. Dopo essersi recato negli Stati Uniti, dove il curatore dell’ Art Institute of Chicago, Hugh Edwards, lo incoraggia a continuare nella professione di fotografo, inaugura la sua prima mostra personale. Tornato a Praga, è costretto a lavorare in uno scantinato per evitare il controllo della polizia. Le sue prime fotografie sono stampate in bianco e nero o virate seppia. Verso la metà degli anni Settanta, prende la decisione di colorare ad acquerello le sue stampe in bianco e nero, dando vita ad uno stile che lo distinguerà per sempre.
Le sue immagini sono contemporaneamente un pugno nello stomaco ed un inno alla vita, a volte sono divertenti, a volte patetiche, o altre volte un pò volgari. I volti delle sue fotografie non sono perfetti, ma raccontano delle storie. Storpi, donne obese, bambini malformati, ognuno di loro si fa ritrarre senza la paura di mostrarsi. E per queste ragioni, appaiono stranamente belli e commoventi.
Saudèk ci parla della sua Praga, attraverso occhi che tentano di fermare il tempo, su corpi ormai vecchi. Egli li congela. Li rende immortali.
Grazie alla moglie, musa, modella Sarah, i capolavori di Saudèk sono visti e conosciuti in tutto il mondo nelle più importanti gallerie, perchè un autore cosi non può restare sconosciuto. Queste fotografie, che ritraggono uno spaccato crudele e sanguigno della nostra vita, danno da pensare, anche alle anime più scettiche.