Galleria Fumagalli presenta la mostra “Giulio Paolini. Teoria delle apparenze”, una selezione di opere realizzate dal 1969 al 2015. Abbracciando l’intero arco di produzione dell’artista, iscritto in un ambito di ricerca di matrice concettuale, l’esposizione si propone di restituire una visione complessiva dell’operare di Giulio Paolini: dalle tele prospettiche degli anni ’70, alla dimensione teatrale e letteraria degli anni ’80 fino ai più recenti studi sull’identità dell’autore e la sua condizione di spettatore. L’atto di nascita della ricerca artistica di Giulio Paolini risale al suo primo “Disegno geometrico” del 1961 esposto al XII Premio Lissone, una piccola tela (40×60 cm) sulla quale è tracciata a inchiostro la squadratura del foglio. Da questo momento, l’artista definisce come suo campo d’analisi la struttura base della visione e i metodi dell’operare artistico che, negli anni successivi, lo portano a sviluppare un processo di decodificazione lontano dall’elaborazione di immagini e vicino al segno, alla geometria visiva, alla matematica.
Le opere scelte esposte nella mostra “Giulio Paolini. Teoria delle apparenze” seguono il percorso dell’artista a partire dal 1969 con l’opera “Quam raptim ad sublimia”, uno stendardo in cotone con la scritta in latino “Quanto prima verso il sublime”. La frase, che Giulio Paolini riprende da un’incisione in caratteri di ottone nel pavimento marmoreo del Museo del Vaticano, evoca i temi dell’ineffabilità e dell’invalicabilità della parola. Come per il linguaggio così per la pittura, l’artista esplora con sguardo retrospettivo i meccanismi e gli elementi costitutivi del manifestarsi: dalle citazioni letterarie all’autocitazione, propone una storicizzazione del proprio lavoro. Le linee e le immagini prospettiche illusorie, di opere come “Teoria delle apparenze” (1972) ed “Equivalenza” (1975), sono una proposizione virtuale dello spazio e alludono all’idea del quadro come contenitore potenziale di tutte le opere passate e future. Dalla metà degli anni ’70, temi come la ripetizione, la circolarità dei rimandi e il doppio sono presenti nei lavori di Giulio Paolini. Grazie anche al ricorso di calchi in gesso di statue o particolari architettonici classici, l’artista riflette sulla tradizione come esperibile solo in frammenti. Rappresentative in questo senso sono “L’arte e lo spazio, quattro illustrazioni per uno scritto di Martin Heidegger” (1983), un rimando alle “quattro osservazioni” del filosofo tedesco paradigma del pensiero sull’arte in quegli anni, e “Grandezza Naturale” (1986/87) che si interroga sul significato e il paradosso della nozione di “naturale”. Il collage fotografico “Comédie Italienne” (1984) è una documentazione del frammento scenico realizzato dall’artista con Carlo Quartucci nel 1983 al Ninfeo del Bramante ispirato al celebre quadro di Jean-Antoine Watteau ”Embarquement pour Cyhtère”. L’opera evoca il mito dell’eterno viaggio dei commedianti italiani e rimanda a un altro aspetto caratteristico del lavoro di Giulio Paolini ovvero la teatralizzazione del lavoro. Anche “L’Indifferent” (1992) è un riferimento al dipinto di Watteau del 1717, riprodotto in una fotografia a colori (ma mancante di alcune parti ritagliate dall’artista) e incorniciata su un cavalletto di legno. La percezione visiva è messa alla prova e coinvolge attivamente l’osservatore nell’atto di definizione dell’opera. Emblematica è “Terra di nessuno” (2013/2014), un cavalletto con una tela e quattro frammenti di un disegno prospettico in teca evocano un quadro senza però rivelarlo. In mostra anche “Studio per Da lontano” (2015), disegno preparatorio dell’intervento di Giulio Paolini per il tempio Barocco del Museo Cappella Sansevero a Napoli, e “Studio per Villa dei misteri” (2013), composizione di immagini in prospettiva il cui titolo è ispirato alla domus pompeiana. Con la mostra “Giulio Paolini. Teoria delle apparenze”, la Galleria Fumagalli rende omaggio a una delle figure artistiche più rappresentative della ricerca italiana d’avanguardia. Attraverso installazione, disegno, collage, calco in gesso e fotografia, dagli anni ’60 a oggi, Giulio Paolini esplora la natura tautologica e metafisica dell’operare artistico mettendo in discussione le sue sovrastrutture di metodo e rigenerando il lavoro in prospettive sempre nuove. “Il mio modo di agire è in rapporto, staffetta continua, tra il quadro prima e quello dopo. Ogni mio quadro in definitiva è la replica del precedente (vorrei dire che nasce già come replica del precedente).” (Giulio Paolini in Dipingere la pittura, intervista di Nico Orengo in “Fuoricampo”, Torino 1973).