Conosco Shanthi D’Apa da tempo. Tuttavia la sua modestia, riservatezza nonché il fatto di essere una ragazza poco incline all’autocelebrazione mi avevano precluso la possibilità di conoscere cosa fosse riuscita a creare negli ultimi tempi. Le ho chiesto recentemente di parlarmi di sé. Non posso non condividere con voi cotanta genialità. Questa ragazza ventiquattrenne è un calderone gorgogliante di novità intrise di estro. Fin da giovanissima si iscrive a un corso per modellista presso una sarta. È lì che conosce per la prima volta, attraverso il cartamodello, “i segreti di un abito”. In seguito frequenta la NABA (Nuova Accademia di Belle Arti) di Milano dove perfeziona le sue conoscenze, cresce, matura. Shanthi è una cultrice del Made in Italy, della sartoria del Bel Paese, dei ricami fatti a mano. Progetta, disegna, inventa, cuce e assembla. Definisce le sue collezioni il riflesso, la rappresentazione del suo essere, delle sue gioie, delle sue fobie. Esordisce con “I Think I’m Paranoid” (titolo di una canzone dei Garbage) a cui fa seguito “Il rifugio nel mio mondo. Il mio cuore sarà tuo fino alla morte. Ahimè sono già morta!“. Quest’ultima è, a detta della stessa Shanthi, un mix perfetto tra dramma, amore e ironia. Dopo gli studi presso l’Accademia, inizia uno stage presso il celeberrimo Atelier Sangalli (terminato lo stage viene assunta con contratto di apprendistato). Partecipa al concorso “The Link” (2013), organizzato da MarediModa, piazzandosi tra i finalisti. I suoi cavalli di battaglia sono due collezioni mare che sconvolgono e cambiano letteralmente le “regole” a cui si è solitamente avvezzi. “I Sette Peccati” e “Sette demoni” parlano, naturalmente, attraverso i costumi ma anche e soprattutto attraverso i dettagli e la scelta delle forme. La prima collezione, che sfila a Cannes a novembre 2013, descrive i peccati capitali: superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, accidia e ira. La seconda collezione sfila a Firenze a luglio 2014 ed è caratterizzata da una “linea” che può sembrare tipica dell’intimo ma che in realtà esprime un vero e proprio messaggio: in ogni persona albergano numerosi peccati ma uno prevale sempre sugli altri. Si ha dunque una sorta di metamorfosi… ci si trasforma non soltanto nel peccato (predestinato) ma nel demone del peccato stesso. Accostamenti, colori e forme assolutamente originali. Le creazioni di Shanthi sono figlie delle sue passioni: i racconti di Edgar Allan Poe; i film di Kubrick, Hitchcock, Tarantino, Burton e Luhrmann. In un’epoca in cui tutti bramano le etichette “cool” e “top”; dove persino un semplice nudo assurge al rango di “arte” e dove foto di banali copulazioni (in tutte le salse), in una bella location (con un po’ di drappi, un lume, un paio di libri antichi e qualche quadro), sono l’ultima spiaggia per gli “artisti”, Shanthi riesce davvero a fare arte “squarciando il velo” e a dar vita a creazioni uniche, non “etichettabili”. Il suo estro è un mix di dramma, horror, paura, ironia, sensualità (slegata dai dettami). Shanthi non ha obiettivi… preferisce parlare di sogni. Gli obiettivi che non trovano realizzazione, in effetti, generano più delusione dei sogni che restano imprigionati nel cassetto. I capi di Shanthi D’Apa sono unici, creati a mano; hanno la purezza dell’ Alta Moda e la luminosità che distrugge la banalità. A proposito di luminosità… la prossima volta vi presenterò “Portatore di Luce”: una collezione che parla, attraverso gli abiti, della vita di Lucifero. Le creazioni di Shanthi mi fanno venire in mente questi passi di “The Tyger” di William Blake: “What immortal hand or eye / Dare frame thy fearful symmetry?”.
Ph: Dario Raimondi